In realtà il fiore del mio famosissimo omonimo sarebbe stato azzurro, per me è blu.
Il Fiore Blu
martedì 7 maggio 2013
Recensione Oberto Conte di San Bonifacio di Giuseppe Verdi dal Teatro La Scala di Milano
Oberto Conte di San Bonifacio è forse
più che un'opera, la fiaba della perseveranza verdiana per
eccellenza. Per motivi che esulano dalla critica in sé ho
ultimamente approfondito enormemente quella parte di biografia
verdiana in cui viene concepito questo primo tassello della sua
produzione operistica, e non riesco a non vedervi, nonostante sia per
molti versi un'opera mediocre, l'inizio prepotente di un uomo che
credeva nel proprio destino e nei propri mezzi.
Giuseppe Verdi dopo essere stato
rilegato a Busseto come maestro di musica, impegno al quale cedette
vista la pressione dei suoi concittadini, aveva cominciato a scrivere
il suo Rocester, e Pietro Massini, maestro di canto a capo del Teatro
dei Filodrammatici di Milano, lo aveva incoraggiato nel suo progetto
da operista, promettendogli il suo appoggio per l'eventuale
rappresentazione dell'opera.
Composta l'opera, su libretto di un
misterioso Antonio Piazza, occorreranno ben due anni per poterla
vedere rappresentata (e nel frattempo i rimaneggiamenti la renderanno
Oberto Conte di San Bonifacio su libretto di Temistocle Solera).
Il giovane Verdi si sposa con
Margherita Barezzi, nasce la piccola Virginia, e visto che la via di
Milano appare troppo difficoltosa (Massini non era più a capo del
Teatro dei filodrammatici) cerca di farlo a rappresentare al Teatro
Ducale di Parma: ma presto va incontro a una cocente delusione.
L'impresario di Parma, un certo Granci, lo liquida adducendo il fatto
che è troppo rischioso per lui puntare su un emerito sconosciuto con
un'opera nuova.
A questo punto il giovane Verdi, con il
sostegno senza indugi di sua moglie, abbandona il lavoro di Busseto,
e decide di trasferirsi a Milano, per inseguire il sogno di veder
rappresentata la sua opera.
Massini per la primavera del 1839
sembra riuscire a farla rappresentare in Scala, programmata come un
evento di beneficenza in onore del Pio Istituto filarmonico e con un
cast davvero eccezionale: Moriani (il tenore della bella morte) la
Strepponi (futura compagna del cigno di Busseto), il basso Ronconi e
il soprano Kemble, ma l'imprevisto è davvero dietro l'angolo,
Moriani si ammala, le prove vengono sospese e la rappresentazione
cancellata.
Che dire questo punto tutto sembra
perduto, se non per il fatto che all'impresario Merelli della Scala,
alla ricerca di nuovi compositori, perché reclamati a gran voce
dagli spalti scaligeri, capta nel dietro le quinte di una produzione
una conversazione fra la Strepponi e Ronconi, in cui parlano della
bella musica dell'Oberto, e di come fosse stato un peccato non
poterla eseguire per quella primavera (almeno così riporta la Vita
Aneddotica di Pougin).
A questo punto Verdi viene finalmente
esaudito e il 17 novembre 1839 va in scena L'Oberto Conte di San
Bonifacio in Scala.
Il successo non è travolgente (come lo
sarà poi per Nabucco nel 1842) ma è comunque tale da fargli firmare
un contratto con La Scala per altre tre opere.
Oberto già anticipa il senso del
dramma in Verdi per il taglio delle scene, l'energia feroce dei ritmi
nell'orchestrazione e la totale assenza di un sentimentalismo
arcaico; si tratta per ovvie ragioni un'opera a tinte cupe dal gusto
donizettiano, ma possiede quella concisione ed essenzialità
drammatiche che sono solo di Verdi.
In Scala ora, non si può chiamare un
direttore più in ruolo (se così possiamo dire) di Riccardo Frizza
per un'operazione di questo genere, il gesto scenografico
accattivante, la completa padronanza della scrittura verdiana,
l'occhio e l'orecchio sempre vigile a ciò che accade sul
palcoscenico, ne fanno un'interprete raffinato e vigoroso del primo
Verdi.
La regia moderna di Mario Martone è
stata sempre pertinente e convincente, rendendo i personaggi e le
vicende, il perfetto intreccio narrativo di una sorta di telenovela
postmoderna.
I costumi di Ursula Patzak sono stati
encomiabili, soprattutto quelli di Cuniza- Sonia Ganassi e di Fabio
Sartori- Riccardo (quando è uscito con la camicia di satin zebrata
allo stile Cavalli e il medaglione al collo mi è sembrato James
Gandolfini dei Soprano, geniale!!)
Sul fronte vocale l'Oberto di Michele
Pertusi è stato il trionfatore assoluto della serata, la voce non è
quella di un basso propriamente verdiano, ma quando si sente il
fraseggio, la parola sempre messa in risalto in un canto impreziosito
da effetti e da cesellature nobilissime non si ha molto su cui
riflettere. Si sente Verdi cantato forse come lo stesso compositore
avrebbe desiderato. Pertusi è anche un attore formidabile in scena,
sembra davvero un attore di prosa, naturale, espressivo, mai sopra le
righe.
Fabio Sartori è stato un Riccardo
solido, con un timbro generoso e può dirsi soddisfatto della propria
performance.
La giovane Maria Agresta ha dato prova
di una luminosa voce da soprano lirico con un settore medio-grave
incredibilmente ben gestito, le agilità sono migliorabili, ma trovo
che sia una delle rivelazioni più interessanti del panorama lirico
odierno.
Cuniza era Sonia Ganassi, che a dire il
vero mi ha deluso, il mestiere e la sua esperienza la salvano in ogni
caso, il piglio aggressivo della signora Ganassi in scena fa in modo
di non rendere banale e monotona un personaggio davvero noioso come
Cuniza, ma la voce è divenuta opaca, si sente un certo sforzo nei
centri, e qualche difficoltà nei gravi, il che costringeva la
Ganassi a ricorrere al registro di petto in maniera piuttosto
frequente; confido che sia stata l'indisposizione di una serata.
Completava il cast José Maria Lo Monaco nei panni di Imelda.
Sempre una nota di merito per il coro
egregiamente preparato dal Maestro Bruno Casoni.
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